Barù? Il pittore? Sta
in piazza, nel cortile sul retro della forneria. La gente,
soprattutto quella meno anziana (abita in questa contrada dal "35),
probabilmente ha dimenticato il suo nome di battesimo, Giuseppe, e
il suo autentico cognome, Baronio. Ma tutti conoscono questo
personaggio quel tanto anarchico da essere simpaticamente fuori dal
gregge. Un "matto" nel quale specchiarsi, vizi e virtù. Un
personaggio di paese, di quelli che riassumono l'anima profonda di
un posto.
"Discendente da una famiglia di fornai, ha assorbito durante il
lavoro notturno le bellezze dell'alba, i chiaroscuri della notte ed
ha messo a profitto ogni sensazione che il meraviglioso computer del
nostro cervello mette in serbo per chi vorrà interpretare tali
valori con pennello e colore."
Così si racconta di
lui nel pieghevole che accompagna la sua mostra nel Natale del 1997
alla "Cicognini" di Pontevico. Si ricorda che "nella sua
formazione artistica, il Barù ha rubato ore di sonno per frequentare
buone Scuole d'Arte, aiutato anche dal suo maestro preferito,
Ernesto Giupponi, dal quale assorbì i valori e i segreti della buona
pittura bresciana."
Mentre lo sguardo
si posa sulle diverse stagioni della sua pittura, sempre attenta a
persone e cose che hanno animato il suo mondo vitale ed affettivo, è
inevitabile confrontarsi con altri giudizi. Un amico prete dice che
"sono quadri che riflettono la semplicità dell'animo dell'autore,
che non è mai stanco di cercare ciò che si chiama 'il Bene' per
comparteciparlo con i suoi estimatori".
Un pittore, Giacomo
Olini, assicura che "ha la poesia nell'anima e trasmette tutto
quello che ha visto nel suo vagare alla ricerca del bello. Ha quella
comunicazione sensitiva che l'artista pittore sente in sé e lo dice
con veemenza a chi osserva le sue opere. Il tutto è una festa al
creato e con la saporita pennellata lui parla con noi, tanto da
restare coinvolti come lui nel bello della creazione."
C'è esplosione di
gioia in certi suoi quadri, ma anche nostalgia per atmosfere che
raccontano modi e tempi di vita consegnati alla memoria. Eppure non
manca l'aggancio alle tematiche di più stringente attualità. Nel
variegato mazzo delle pitture colpisce un'inconsueta "Ultima Cena"
eseguita con la tecnica dello strappo. Cristo volge le spalle a chi
osserva il dipinto. Seduto solo da questa parte del tavolo conversa
con i suoi discepoli. Uno dei più vicini sonnecchia, altri
chiacchierano. E sappiamo che già uno pensa al tradimento. Vengono
alla mente alcuni dei fondi scritti in questo periodo natalizio per
mettere in rilievo il rischio del tramonto della civiltà
giudaico-cristiana, un tramonto figlio dell'indifferenza più che
della opposizione. Così, questo Gesù che volge le spalle ad un mondo
anonimo per concentrarsi sui suoi, gruppetto già eterogeneo,
bisognoso di amorevoli cure per reggere il peso di trasformarsi in
suo erede nella testimonianza e parlare, coi gesti, alla folla
distratta, assume la forza di sintesi di una stagione carica di
cambiamenti ed incertezze.
Se gli si chiede perché
lo hai dipinto così? Lui risponde: perché lo sento così! Appunto, il
sentire intuitivo, vitale, che precede il ragionamento. Lo sminuzzare,
senza banalizzare, a beneficio di chi ha tempo e volontà di guardare,
un'antica sapienza popolare.
Adalberto Migliorati
Barù
vive e lavora a Bassano
B.no
piazza Roma, 8 tel.030/9935383
|



 |